Cinema di animazione
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L’animazione si basa anzitutto sul medesimo fenomeno ottico del cinema, ossia l’impressione del movimento sullo schermo è dovuta a un fattore chiamato ‘persistenza delle immagini sulla retina’. Osservando infatti una serie di immagini fisse di un oggetto, ogni immagine permane sulla retina dei nostri occhi per una frazione di secondo anche dopo la sua sostituzione con un’altra immagine. Ne consegue che se osserviamo un’immagine dopo l’altra, rapidamente, le singole immagini daranno un’unica visione dinamica e l’oggetto sembrerà muoversi.
Nei film ripresi dal vero il movimento della realtà (ad esempio una persona che cammina) viene scomposto dall’otturatore della cinepresa che automaticamente fotografa le varie fasi dell’azione 24 volte al secondo. Il proiettore restituisce sullo schermo la successione di immagini con la stessa velocità della ripresa e la persona appare allo spettatore in movimento, esattamente come nella realtà.
Nell’animazione, ad esempio in un film a disegni animati, il cartoonist o designer o animatore prende il posto della cinepresa: analizza il movimento che intende rappresentare e lo scompone, facendo una serie di disegni. Quest’ultimi, fotografati con la cinepresa, uno alla volta, formano una sequenza di immagini che, proiettate, offrono l’illusione del movimento dei disegni. Il movimento sullo schermo non è più la semplice riproduzione dell’azione della realtà, come nei film dal vero, ma ne è una interpretazione grafica creativa; esso può anche essere completamente inventato.
Per realizzare l’animazione, in un corto, medio o lungometraggio, si parte innanzitutto da un’idea, la quale viene sviluppata in trama, stendendone una prima sceneggiatura. Il regista di animazione, a differenza del regista dal vero, non può girare la stessa scena più volte, magari da differenti punti di vista; poiché l’animazione richiede un lungo e costoso lavoro, egli tenta di evitare la realizzazione di scene che possano risultare errate o superflue in fase di montaggio; ogni dettaglio dell’azione e dei movimenti di macchina deve essere previsto fin dall’inizio da lui e dai suoi collaboratori.
Per tali motivi la sceneggiatura viene disegnata in ogni sua fase. Viene preparato cioè il cosiddetto storyboard (una sorta di fumetto del film, con annotazioni tecniche e di durata delle azioni, osservazioni sul sonoro e il movimento, ecc.). E dal momento che le azioni disegnate devono spesso sincronizzarsi con un commento sonoro, quest’ultimo viene registrato prima di effettuare l’animazione.
I dialoghi e le musiche vengono quindi analizzate con la ‘posizione’ di ciascun suono trascritta nel foglio macchina (exposure sheet) in relazione ai fotogrammi del film. Queste tabelle, compilate dal regista, costituiscono una sorta di carta di identità di ogni fotogramma dell’animazione. In una colonna viene descritta l’azione, riportando il numero di ogni disegno in corrispondenza con i numeri dei fotogrammi del film, in altre colonne vengono indicati lo sfondo, il sonoro, eventuali movimenti di macchina (carrellate, panoramiche, effetti ottici, ecc.). I fogli macchina servono da guida, prima per l’animatore, in seguito per l’operatore della cinepresa.
Nel frattempo, alcuni disegnatori producono delle interpretazioni visive di tutti i personaggi del film. Il model sheet è appunto un foglio che presenta l’analisi delle caratteristiche (altezza, vista di profilo, espressioni tipiche, ecc.) di ogni personaggio. A volte, prima di iniziare l’animazione, lo storyboard viene ripreso e sincronizzato con le musiche, costituendo il rullo di prova che permette una primissima visione di come il film sta prendendo forma. Una volta approvato il rullo di prova, inizia la fase di animazione dei disegni. Ogni scena presenta parti che rimangono fisse come gli ambienti (interno di una casa, un bosco, ecc.) e parti in movimento (personaggi, oggetti, veicoli, ecc.).
Agli albori dell’animazione, agli inizi del Novecento, personaggi e sfondi vengono ridisegnati per ogni fotogramma della pellicola (così opera ad esempio Winsor McCay). In seguito i personaggi sono creati su fogli di carta, mentre su una lastra di celluloide trasparente (detta ‘rodovetro’) viene dipinto lo sfondo. Quest’ultimo è sovrapposto ai disegni e, rimanendo fisso, permette di risparmiare lavoro. Naturalmente può capitare che il personaggio sia coperto da una parte dello sfondo. Per questo i personaggi hanno colori neri (senza grigi), in modo che una sovrapposizione di linea nera risulti invisibile. Se le linee dello sfondo capitano su una parte chiara del personaggio, sono scrostate, in fase di ripresa, e quindi ridisegnate. Così vengono realizzati a New York dal 1920 i cortometraggi della serie Felix the Cat (Mio Mao) di Otto Messmer e Pat Sullivan.
Intanto è messo a punto, da Earl Hurd, un nuovo processo di realizzazione. Il sistema, di cui per un certo tempo si riserva l’utilizzo il produttore americano John Randolph Bray, adopera il rodovetro in modo nuovo. I personaggi, dipinti su fogli di rodovetro, vengono sovrapposti allo sfondo fisso. Tale rivoluzionario processo di realizzazione non solo dà il via alla produzione in senso industriale dell’animazione, ma rimane alla base del disegno animato fino ai nostri giorni. Le parti fisse della scena (sfondi) vengono realizzate da un gruppo di artisti, che le dipingono su cartoncino (a tempera, acquarello, ecc.). Le parti in movimento sono costituite da una serie di disegni, realizzati dagli animatori. Poiché la pellicola scorre a 24 fotogrammi al secondo, in teoria bisognerebbe preparare 24 disegni per ogni secondo di proiezione. Già dagli anni Venti, però, si scopre che il movimento appare fluido anche con soli 12 disegni diversi per secondo, ciascuno ripreso due volte. In questo modo il lavoro del disegnatore si riduce notevolmente. Le attuali serie televisive di produzione giapponese spesso riprendono ogni disegno per tre volte, sacrificando la qualità dell’animazione per contenere i costi.
Per quanto concerne i metodi di lavoro, occorre aggiungere che l’animatore disegna sul tavolo di animazione. Si tratta di una tavoletta di legno, di circa 35x50 cm, appoggiata su due supporti laterali che ne garantiscono la giusta inclinazione (circa 30-40 gradi). Al centro del tavolo vi è un’apertura rettangolare, chiusa da una lastra di vetro opalina. Sotto la lastra vi è una lampada, che consente la visione in trasparenza di una serie di fogli di carta sovrapposti. La trasparenza della carta, illuminata dal basso, permette al disegnatore sia di ricalcare su un nuovo disegno le parti del precedente che rimangono fisse, sia di introdurre in modo coerente le parti nuove.
La serie dei disegni, ognuno leggermente diverso dal precedente, costituisce l’animazione. Appare evidente la necessità di mantenere ogni disegno a registro rispetto al precedente. A questo scopo i fogli di carta vengono punzonati e fissati su appositi pioli di metallo (in basso o in alto sul tavolo da disegno) che mantengono tutti i fogli a registro (innovazione introdotta da Raoul Barré nel corso degli anni Dieci).
La serie di schizzi preparati dagli animatori costituisce un abbozzo dell’animazione. Viene infatti ripresa per ottenere il cosiddetto Line test, il test a matita dell’animazione (introdotto da Walt Disney intorno alla metà degli anni Trenta). L’animazione definitiva della scena è il risultato di un lavoro di gruppo. Infatti, invece di produrre un disegno dopo l’altro, in successione, l’azione viene scomposta in alcuni disegni chiave (per esempio l’azione del lancio di un peso sarà suddivisa in posa di partenza, slancio all’indietro, azione vera e propria, ritorno alla normalità). L’animatore-capo esegue gli estremi di un movimento. L’assistente animatore rifinisce i bozzetti (fase di cleanup, pulitura). Lo scompositore crea i disegni intermedi fra gli estremi già disegnati. Finalmente l’intercalatore riempie i vuoti dell’azione, completando l’animazione.
A questo punto le inchiostratrici. (disegnatrici specializzate) ricalcano i disegni dell’animatore su fogli di celluloide trasparente (il rodoid o rodovetro). Tali disegni vengono colorati tramite pitture acriliche, sul retro del rodovetro, in modo da non coprire le linee di inchiostro di contorno. Negli anni Trenta le impiegate coloritrici dello studio Disney impiegavano oltre un’ora per completare la coloritura di ogni rodovetro. Dagli anni Sessanta il processo di inchiostratura è accelerato tramite l’utilizzo di macchine fotocopiatrici Xerox, che permettono di trasferire automaticamente il disegno dell’animatore su rodovetro. Oggi gli studi di produzione utilizzano sistemi computerizzati. I disegni degli animatori, trasferiti sui monitor dei computer, vengono colorati da un operatore che dispone di un software di riconoscimento delle aree chiuse dei disegni.
Passando ora alla ripresa, il lavoro di animatori e coloritrici viene controllato da supervisori. I disegni e gli sfondi passano quindi nella sala ripresa insieme con i fogli macchina. L’operatore della cinepresa svolge una funzione prevalentemente tecnica, poiché il movimento da fotografare è stato già tutto predisposto e disegnato dal regista e dagli animatori, fotogramma per fotogramma.
I disegni, fissati su appositi pioli di metallo identici a quelli del tavolo luminoso dell’animatore, sono fotografati uno alla volta tramite una cinepresa a passo uno (una cinepresa, cioè, capace di esporre un fotogramma alla volta). Poiché questo tipo di ripresa esige la massima stabilità, la macchina è fissata su un supporto metallico, con l’obiettivo rivolto al tavolo di lavoro. Particolarmente curata deve essere sia la planarità dei disegni sia l’uniformità della loro illuminazione; per questo si usa un vetro pressore appoggiato sui disegni e i fari muniti di filtro polarizzatore (Polarizzazione) sono collocati in modo da inviare la luce secondo un angolo di 45 gradi (il che consente di evitare ogni riflesso). Questo apparecchio di riproduzione, denominato truka o rostrum, ha raggiunto una notevole complessità, permettendo l’esecuzione di panoramiche, carrellate, zoomate e di molti altri effetti, non esclusivi del cinema di animazione.
Per realizzare una panoramica si fa scorrere un lungo foglio di cartoncino, fotogramma dopo fotogramma, sotto l’obiettivo della macchina da presa. Una carrellata viene realizzata avvicinando o allontanando la macchina da presa, eseguendo uno scatto alla volta e ritoccando ogni volta la messa a fuoco.
Un uso sofisticato di tali tecniche è permesso dalla multiplane camera messa a punto allo Studio Disney nel corso degli anni Trenta. Questo apparecchio, di notevole ingombro, presenta diversi livelli di disegni sovrapposti, ognuno su piani di vetro differenti, a circa un metro di altezza l’uno dall’altro, ottenendo così inediti effetti di profondità di campo (Diaframma), a fronte di riprese lunghe e costose.
Negli ultimi decenni del Novecento compaiono infine i computer in grado di controllare automaticamente i movimenti della macchina da presa. Oggi presso molti studi la fase di ripresa è sostituita dalla digitalizzazione dei disegni, che vengono ‘letti’ e memorizzati nell’ hard disk, tramite apparecchi denominati scanner. Una volta colorati elettronicamente, i fotogrammi vengono riversati su nastro magnetico o pellicola, o su supporti digitali come i CD-ROM e i DVD. (CD).
Nei film ripresi dal vero il movimento della realtà (ad esempio una persona che cammina) viene scomposto dall’otturatore della cinepresa che automaticamente fotografa le varie fasi dell’azione 24 volte al secondo. Il proiettore restituisce sullo schermo la successione di immagini con la stessa velocità della ripresa e la persona appare allo spettatore in movimento, esattamente come nella realtà.
Nell’animazione, ad esempio in un film a disegni animati, il cartoonist o designer o animatore prende il posto della cinepresa: analizza il movimento che intende rappresentare e lo scompone, facendo una serie di disegni. Quest’ultimi, fotografati con la cinepresa, uno alla volta, formano una sequenza di immagini che, proiettate, offrono l’illusione del movimento dei disegni. Il movimento sullo schermo non è più la semplice riproduzione dell’azione della realtà, come nei film dal vero, ma ne è una interpretazione grafica creativa; esso può anche essere completamente inventato.
Per realizzare l’animazione, in un corto, medio o lungometraggio, si parte innanzitutto da un’idea, la quale viene sviluppata in trama, stendendone una prima sceneggiatura. Il regista di animazione, a differenza del regista dal vero, non può girare la stessa scena più volte, magari da differenti punti di vista; poiché l’animazione richiede un lungo e costoso lavoro, egli tenta di evitare la realizzazione di scene che possano risultare errate o superflue in fase di montaggio; ogni dettaglio dell’azione e dei movimenti di macchina deve essere previsto fin dall’inizio da lui e dai suoi collaboratori.
Per tali motivi la sceneggiatura viene disegnata in ogni sua fase. Viene preparato cioè il cosiddetto storyboard (una sorta di fumetto del film, con annotazioni tecniche e di durata delle azioni, osservazioni sul sonoro e il movimento, ecc.). E dal momento che le azioni disegnate devono spesso sincronizzarsi con un commento sonoro, quest’ultimo viene registrato prima di effettuare l’animazione.
I dialoghi e le musiche vengono quindi analizzate con la ‘posizione’ di ciascun suono trascritta nel foglio macchina (exposure sheet) in relazione ai fotogrammi del film. Queste tabelle, compilate dal regista, costituiscono una sorta di carta di identità di ogni fotogramma dell’animazione. In una colonna viene descritta l’azione, riportando il numero di ogni disegno in corrispondenza con i numeri dei fotogrammi del film, in altre colonne vengono indicati lo sfondo, il sonoro, eventuali movimenti di macchina (carrellate, panoramiche, effetti ottici, ecc.). I fogli macchina servono da guida, prima per l’animatore, in seguito per l’operatore della cinepresa.
Nel frattempo, alcuni disegnatori producono delle interpretazioni visive di tutti i personaggi del film. Il model sheet è appunto un foglio che presenta l’analisi delle caratteristiche (altezza, vista di profilo, espressioni tipiche, ecc.) di ogni personaggio. A volte, prima di iniziare l’animazione, lo storyboard viene ripreso e sincronizzato con le musiche, costituendo il rullo di prova che permette una primissima visione di come il film sta prendendo forma. Una volta approvato il rullo di prova, inizia la fase di animazione dei disegni. Ogni scena presenta parti che rimangono fisse come gli ambienti (interno di una casa, un bosco, ecc.) e parti in movimento (personaggi, oggetti, veicoli, ecc.).
Agli albori dell’animazione, agli inizi del Novecento, personaggi e sfondi vengono ridisegnati per ogni fotogramma della pellicola (così opera ad esempio Winsor McCay). In seguito i personaggi sono creati su fogli di carta, mentre su una lastra di celluloide trasparente (detta ‘rodovetro’) viene dipinto lo sfondo. Quest’ultimo è sovrapposto ai disegni e, rimanendo fisso, permette di risparmiare lavoro. Naturalmente può capitare che il personaggio sia coperto da una parte dello sfondo. Per questo i personaggi hanno colori neri (senza grigi), in modo che una sovrapposizione di linea nera risulti invisibile. Se le linee dello sfondo capitano su una parte chiara del personaggio, sono scrostate, in fase di ripresa, e quindi ridisegnate. Così vengono realizzati a New York dal 1920 i cortometraggi della serie Felix the Cat (Mio Mao) di Otto Messmer e Pat Sullivan.
Intanto è messo a punto, da Earl Hurd, un nuovo processo di realizzazione. Il sistema, di cui per un certo tempo si riserva l’utilizzo il produttore americano John Randolph Bray, adopera il rodovetro in modo nuovo. I personaggi, dipinti su fogli di rodovetro, vengono sovrapposti allo sfondo fisso. Tale rivoluzionario processo di realizzazione non solo dà il via alla produzione in senso industriale dell’animazione, ma rimane alla base del disegno animato fino ai nostri giorni. Le parti fisse della scena (sfondi) vengono realizzate da un gruppo di artisti, che le dipingono su cartoncino (a tempera, acquarello, ecc.). Le parti in movimento sono costituite da una serie di disegni, realizzati dagli animatori. Poiché la pellicola scorre a 24 fotogrammi al secondo, in teoria bisognerebbe preparare 24 disegni per ogni secondo di proiezione. Già dagli anni Venti, però, si scopre che il movimento appare fluido anche con soli 12 disegni diversi per secondo, ciascuno ripreso due volte. In questo modo il lavoro del disegnatore si riduce notevolmente. Le attuali serie televisive di produzione giapponese spesso riprendono ogni disegno per tre volte, sacrificando la qualità dell’animazione per contenere i costi.
Per quanto concerne i metodi di lavoro, occorre aggiungere che l’animatore disegna sul tavolo di animazione. Si tratta di una tavoletta di legno, di circa 35x50 cm, appoggiata su due supporti laterali che ne garantiscono la giusta inclinazione (circa 30-40 gradi). Al centro del tavolo vi è un’apertura rettangolare, chiusa da una lastra di vetro opalina. Sotto la lastra vi è una lampada, che consente la visione in trasparenza di una serie di fogli di carta sovrapposti. La trasparenza della carta, illuminata dal basso, permette al disegnatore sia di ricalcare su un nuovo disegno le parti del precedente che rimangono fisse, sia di introdurre in modo coerente le parti nuove.
La serie dei disegni, ognuno leggermente diverso dal precedente, costituisce l’animazione. Appare evidente la necessità di mantenere ogni disegno a registro rispetto al precedente. A questo scopo i fogli di carta vengono punzonati e fissati su appositi pioli di metallo (in basso o in alto sul tavolo da disegno) che mantengono tutti i fogli a registro (innovazione introdotta da Raoul Barré nel corso degli anni Dieci).
La serie di schizzi preparati dagli animatori costituisce un abbozzo dell’animazione. Viene infatti ripresa per ottenere il cosiddetto Line test, il test a matita dell’animazione (introdotto da Walt Disney intorno alla metà degli anni Trenta). L’animazione definitiva della scena è il risultato di un lavoro di gruppo. Infatti, invece di produrre un disegno dopo l’altro, in successione, l’azione viene scomposta in alcuni disegni chiave (per esempio l’azione del lancio di un peso sarà suddivisa in posa di partenza, slancio all’indietro, azione vera e propria, ritorno alla normalità). L’animatore-capo esegue gli estremi di un movimento. L’assistente animatore rifinisce i bozzetti (fase di cleanup, pulitura). Lo scompositore crea i disegni intermedi fra gli estremi già disegnati. Finalmente l’intercalatore riempie i vuoti dell’azione, completando l’animazione.
A questo punto le inchiostratrici. (disegnatrici specializzate) ricalcano i disegni dell’animatore su fogli di celluloide trasparente (il rodoid o rodovetro). Tali disegni vengono colorati tramite pitture acriliche, sul retro del rodovetro, in modo da non coprire le linee di inchiostro di contorno. Negli anni Trenta le impiegate coloritrici dello studio Disney impiegavano oltre un’ora per completare la coloritura di ogni rodovetro. Dagli anni Sessanta il processo di inchiostratura è accelerato tramite l’utilizzo di macchine fotocopiatrici Xerox, che permettono di trasferire automaticamente il disegno dell’animatore su rodovetro. Oggi gli studi di produzione utilizzano sistemi computerizzati. I disegni degli animatori, trasferiti sui monitor dei computer, vengono colorati da un operatore che dispone di un software di riconoscimento delle aree chiuse dei disegni.
Passando ora alla ripresa, il lavoro di animatori e coloritrici viene controllato da supervisori. I disegni e gli sfondi passano quindi nella sala ripresa insieme con i fogli macchina. L’operatore della cinepresa svolge una funzione prevalentemente tecnica, poiché il movimento da fotografare è stato già tutto predisposto e disegnato dal regista e dagli animatori, fotogramma per fotogramma.
I disegni, fissati su appositi pioli di metallo identici a quelli del tavolo luminoso dell’animatore, sono fotografati uno alla volta tramite una cinepresa a passo uno (una cinepresa, cioè, capace di esporre un fotogramma alla volta). Poiché questo tipo di ripresa esige la massima stabilità, la macchina è fissata su un supporto metallico, con l’obiettivo rivolto al tavolo di lavoro. Particolarmente curata deve essere sia la planarità dei disegni sia l’uniformità della loro illuminazione; per questo si usa un vetro pressore appoggiato sui disegni e i fari muniti di filtro polarizzatore (Polarizzazione) sono collocati in modo da inviare la luce secondo un angolo di 45 gradi (il che consente di evitare ogni riflesso). Questo apparecchio di riproduzione, denominato truka o rostrum, ha raggiunto una notevole complessità, permettendo l’esecuzione di panoramiche, carrellate, zoomate e di molti altri effetti, non esclusivi del cinema di animazione.
Per realizzare una panoramica si fa scorrere un lungo foglio di cartoncino, fotogramma dopo fotogramma, sotto l’obiettivo della macchina da presa. Una carrellata viene realizzata avvicinando o allontanando la macchina da presa, eseguendo uno scatto alla volta e ritoccando ogni volta la messa a fuoco.
Un uso sofisticato di tali tecniche è permesso dalla multiplane camera messa a punto allo Studio Disney nel corso degli anni Trenta. Questo apparecchio, di notevole ingombro, presenta diversi livelli di disegni sovrapposti, ognuno su piani di vetro differenti, a circa un metro di altezza l’uno dall’altro, ottenendo così inediti effetti di profondità di campo (Diaframma), a fronte di riprese lunghe e costose.
Negli ultimi decenni del Novecento compaiono infine i computer in grado di controllare automaticamente i movimenti della macchina da presa. Oggi presso molti studi la fase di ripresa è sostituita dalla digitalizzazione dei disegni, che vengono ‘letti’ e memorizzati nell’ hard disk, tramite apparecchi denominati scanner. Una volta colorati elettronicamente, i fotogrammi vengono riversati su nastro magnetico o pellicola, o su supporti digitali come i CD-ROM e i DVD. (CD).
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Bibliografia
- ANTONINI Anna - TOGNOLOTTI Chiara, Mondi possibili. Un viaggio nella storia del cinema d'animazione, Il Principe Costante, Milano 2008.
- BENDAZZI Giannalberto, L'uomo che anticipò Disney. Il cinema di Quirino Cristiani, Tunué, Latina 2007.
- BENDAZZI Giannalberto, Lezioni sul cinema d'animazione, CUEM, Milano 2004.
- BENDAZZI Giannalberto, Cartoons. Cento anni di cinema di animazione, Marsilio, Venezia 1992.
- BENDAZZI Giannalberto - MICHELONE Guido, Il movimento creato. Saggi e documenti sul cinema d'animazione, Pluriverso, Torino 1994.
- CAVIEZEL Giovanni – FERRERO Antonio, Il cinema a quadretti. Storie di film e fumetti a confronto, Bonanno, Roma 2009.
- Génin Bernard, Il cinema d'animazione. Dai disegni animati alle immagini di sintesi, Lindau, Torino 2005.
- MICHELONE Guido - VALENZISE Giuseppe, Bibidi Bobidi Bu. La musica nei cartoni animati da Betty Boop a Peter Gabriel, Castelvecchi, Roma 1998.
- PELLITTERI Marco, Conoscere l'animazione. Forme, linguaggi e pedagogie del cinema animato per ragazzi, Conoscenza Edizioni, Roma 2004.
- PERUCCA Sabrina, Il cinema d'animazione italiano oggi, Bulzoni Editore, Roma 2008.
- PINTUS Mario - GUIDO Francesco, Il cinema disegnato. Storia e tecnica, Stampacolor, Sassari 1992.
- RAFFAELLI Luca, Le anime disegnate. Il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi e oltre, Minimum fax, Roma 2005.
- RONDOLINO Gianni, Storia del cinema d'animazione. Dalla lanterna magica a Walt Disney, da Tex Avery a Steven Spielberg, UTET Università, Milano 2004.
- TORTORA Matilde, Donne nel cinema d'animazione, Tunué, Latina 2010.
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- Articolo sul sito della Pannonia Filmstudio per celebrare i 50 anni di cinema danimazione in Ungheria
- Il sito di Bruno Bozzetto presenta unampia rassegna delle sue opere
- Per unampia documentazione sulla persona e lopera di Walt Disney
- Sito ufficiale di Otto Messmer (1892 - 1983)
- Sito ufficiale Disney International
- Winsor McCay, agli albori del cinema di animazione
Come citare questa voce
Rivoltella Pier Cesare , Michelone Guido , Valenzise Giuseppe , Cinema di animazione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (22/12/2024).
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